Di A. Alberto (vincitrice borsa di studio ricercatrice Revi&Partnrs)  

A partire dal 2015, con l'adozione dell'Accordo di Parigi, l'Unione Europea ha continuamente espresso il proprio interesse nella individuazione di nuove soluzioni per fronteggiare i problemi legati al cambiamento climatico e diventare un continente più sostenibile. A questo proposito, per regolare il mondo finanziario è entrato in vigore un importante accordo: il Piano d'Azione per la Sostenibilità (SFAP), uno dei principali obiettivi politici dell'Unione Europea che mira a promuovere gli investimenti sostenibili all'interno del blocco dei 27 Paesi. Questo si suddivide ulteriormente in Sustainable Finance Disclosure Regulation (SFDR), Regolamento sulla tassonomia ambientale UE e infine Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD).

La direttiva CSRD è la più recente e ha come obiettivo quello di fornire uno strumento tangibile al pubblico attraverso la divulgazione periodica di resoconti sui rischi che le aziende devono affrontare, tenendo conto dell'impatto sull'ambiente e sulle persone su cui le loro attività commerciali hanno un'influenza. Nel contesto europeo ciò è stato dirompente, poiché tutti sono soggetti allo stesso quadro normativo ed è più complesso mettere in pratica il greenwashing, poiché le imprese sono soggette a svariati controlli.

Al fine di migliorare la rendicontazione e garantire la comparabilità dei dati tra le aziende europee, il rapporto di sostenibilità richiesto dalla CSRD deve essere redatto secondo uno standard europeo comune sviluppato dall'European Financial Reporting Advisory Group (EFRAG), confluito nel 2023 nell'ESRS - European Sustainability Reporting Standard. Si prevede che questo renderà più facile il confronto tra le performance ESG delle diverse organizzazioni.   

La Commissione europea ha adottato 12 standard ESRS con atto delegato il 31 luglio 2023; la cosiddetta prima serie di ESRS contiene due standard trasversali che sono i Requisiti generali (ESRS 1), le Informazioni generali (ESRS 2) applicabili a tutti i campi di rendicontazione, a questi si affiancano dieci standard tematici che sono ulteriormente suddivisi nelle 3 aree ESG: ambientali, sociali e governance.  
Gli ESRS Ambientali (E1-E5) comprendono i cambiamenti climatici, l'inquinamento, le risorse idriche e marine, la biodiversità ed ecosistemi, l'uso delle risorse e l'economia circolare.  
Gli ESRS Sociali (S1-S4) riguardano la propria forza lavoro, i lavoratori della catena del valore, le comunità interessate, i consumatori e gli utenti finali.  
Infine, il fattore Governance, l'ESRS G1 è la condotta aziendale.  
Il secondo gruppo di principi, relativo alle specifiche settoriali, è attualmente in fase di elaborazione dall'EFRAG. 

Gli standard trasversali e gli standard tematici sono indipendenti dal settore, il che significa che si applicano a tutte le imprese, indipendentemente dall'ambito in cui l'impresa opera.  

Con l’introduzione di questi standard le imprese dovranno applicare nelle loro valutazioni e decisioni il principio di doppia materialità, ciò significa che dovranno fornire informazioni in merito all’impatto delle proprie attività verso gli stakeholders, concentrandosi sulle persone e sull’ambiente (approccio inside-out), e al modo in cui le tematiche ESG incidono sulla performance economico-finanziaria dell’impresa (approccio outside-in).

Il recepimento dell'ESRS avverrà gradualmente, a seconda delle caratteristiche delle imprese. A partire dal 2024, la raccolta dei dati sarà obbligatoria solo per gli enti di interesse pubblico (EIP) già soggetti alla direttiva sulla rendicontazione non finanziaria (NFRD) che, alla data di chiusura del bilancio, hanno un numero di dipendenti superiore a 500.

A partire dal 2025 la direttiva si applicherà alle grandi imprese che chiudono l’esercizio con almeno due dei seguenti criteri: i) numero di dipendenti maggiore di 250, ii) stato patrimoniale supera i 25 milioni, iii) ricavo netto supera i 50 milioni, con l'obbligo di pubblicazione dei dati nell’anno 2026.

A partire dal 2026, le PMI quotate, ad eccezione delle microimprese, che hanno almeno due delle seguenti caratteristiche: i) 10-250 dipendenti, ii) 900.000 - 50 milioni di ricavi netti, iii) 450.000 - 25 milioni di stato patrimoniale, dovranno iniziare a raccogliere questi dati per facilitare la rendicontazione entro il 2027, tuttavia hanno la possibilità di opt-out per due anni, mantenendo l'obbligo di pubblicazione entro l’anno 2029. Per quanto riguarda le PMI, l'EFRAG svilupperà ESRS specifici per tenere conto delle loro specificità. 

Infine, a decorrere dall’esercizio finanziario 2028, l'obbligo si applicherà anche alle società extra-UE con almeno un'impresa figlia o una succursale nell'Unione Europea. La finalità è quella di diffondere gli standard ESG a livello globale, incoraggiando le società internazionali a conformarsi ai requisiti di rendicontazione.

Il percorso verso l'implementazione di questi standard può sembrare in alcuni casi piuttosto distante rispetto al presente, ma è importante considerare che ogni azienda ha bisogno di prepararsi ad affrontare queste nuove sfide e rendicontazioni.     

Pertanto, si consiglia vivamente di iniziare già ad attuare questi fattori su base facoltativa per svariati motivi. Innanzitutto, rendere la propria azienda trasparente consente di attirare un maggior numero di clienti e di attuare strategie di marketing su temi che oggi stanno molto a cuore ai consumatori, sempre più interessati al tema della sostenibilità e dei fattori ESG. Disporre di una rendicontazione basata su fattori europei, e quindi trasparente e attendibile per il pubblico, offre anche al cliente più esigente una maggiore affidabilità nei confronti dell’impresa.

Inoltre, contribuisce a migliorare il rapporto con il sistema bancario, che da questo momento in poi sarà sempre più incline a investire in progetti e aziende sostenibili. Ad ogni modo, l'implementazione di questi standard costituisce un importante passo innovativo e imprenditoriale per ciascuna impresa, che indubbiamente porterà ottimi benefici anche nel breve periodo.

di A. Gröbner (Senior managing Partner)

 

Gli ultimi trenta o anche solo venti anni della storia dell’accountability in Europa, segnano un percorso per approssimazioni successive, in parte anche scoordinato, attraverso il quale si è cercato di sviluppare nuove forme di accountability a geometrie variabili.

Tutto ciò avveniva a latere dell’informativa finanziaria tipica della rendicontazione di bilancio, per altro da sempre saldamente ancorata a riferimenti indiscutibili come gli IAS/IFRS piuttosto che ai gaap nazionali adottati dai diversi stati membri e che per queste caratteristiche non permetteva di cogliere altri valori se non quelli prettamente contabili.

Negli anni che precedevano il cambio del millennio, iniziarono pioneristicamente a svilupparsi forme di rendicontazione assolutamente diverse da quelle tipiche finanziarie; penso ad esempio all’esperienza sud-africana attraverso la quale, sotto l’impulso della Commission for Gender Equality, dal 1996 si cominciò il lungo percorso del Gender reporting, cercando di tutelare maggiormente il lavoro femminile.

Contempraneamente, la Social Accountability International (SAI), organizzazione internazionale, nata nel 1997, per assicurare la responsabilità sociale attraverso un processo indipendente di controllo e di tutela dei lavoratori, emanava la norma SA 8000, oggi giunta alla 4° edizione.

Fatto sta che le differenze tra i due gender sono rimaste un tema attuale ancora oggi, soprattutto sul piano delle politiche retributive, tanto è vero che dal 2017 in paesi come la Gran Britannia, le imprese con più di 250 dipendenti sono obbligate a rendicontare all’apposito ufficio governativo, la cd. Gender pay gap calculation, evidenziando per i diversi livelli retributivi, gli scostamenti dalla media e dalle mediane tra genere maschile e femminile.

Questi caldi temi sociali, sebbene con le dovute differenziazioni di contesto, finirono per influenzare anche la vita politica ed amministrativa europea ed italiana (cfr. il Codice per le pari opportunità  ex Dlgs. n. 198/2006 e la normativa sulle quote di genere ex L. 120/2011 ). Di pari passo, a livello europeo, si diffondeva massimamente la filosofia della cd. “corporate social responsability” (CSR), per cui anche i datori di lavoro privati diventarono sempre più sensibili alla parità dei diritti sul posto di lavoro, consapevoli di migliorare la visibilità e il proprio clima aziendale.

Tematiche e analisi come queste rientrano senz’altro nelle finalità di una rendicontazione assai più ampia, quale è la rendicontazione sociale, che come tale si riferisce ad una generalità amplissima di categorie di stakeholder e non esaurisce certo il suo compito nell’analizzare due sole categorie: lavoratrici e lavoratori.

In poco tempo, il modello concettuale della CSR e quindi l’esigenza di una più ampia rendicontazione sociale, si è rapidamente diffuso, anche grazie agli sforzi del Gruppo di studio per il Bilancio Sociale (Gruppo GBS).

Il Bilancio Sociale è stato definito dalla letteratura tecnica come un documento di rendicontazione contabile ed extracontabile redatto da un ente privato o pubblico, con il quale si espongono gli obiettivi, i rapporti finanziari, economici e patrimoniali nonché i risultati conseguiti in campo sociale attraverso la partecipazione attiva degli stakeholder o dei cd. “portatori d’interesse”.

Il bilancio sociale su base volontaria si diffuse sempre più rapidamente a partire dal mondo del no-profit: nel 2004 mi ricordo di avere collaborato alla stesura del primo bilancio sociale della Regione Veneto, in una vera e propria gara sui tempi con la Regione Lombardia.

In seguito ci fu una diffusione importante nel campo delle aziende quotate, istituti di credito e di altre istituzioni (es. cooperative e ONG) tanto che fu istituito il premio Oscar per il bilancio sociale all’interno del più generale Oscar di bilancio organizzato ancora oggi dalla Federazione Relazioni Pubbliche Italiana (FERPI) con Borsa Italiana e Università Bocconi.

Quindi si diffusero i primi sistemi di rating etico, i nuovi modelli di governance inclusiva e i modelli di compliance promossi dalle autorità pubbliche o da imprese di grandi dimensioni. Importanti imprese iniziarono forme di rendicontazione sociale, forse ancora poco improntate al rigore dei contenuti, ma con una crescente consapevolezza degli impatti dell’informativa non finanziaria sulla reputazione e sul valore della marca industriale.

Di lì a poco seguirono tanti altri esempi di importanti ONG, di multinazionali e di imprese nazionali, talora anche PMI.

Parallelamente alle diverse forme di rendicontazione non finanziaria su base volontaria, il legislatore europeo interviene decisamente sul piano della rendicontazione finanziaria obbligatoria, emanando dapprima con la Direttiva n. 34/2013 -  c.d. Direttiva contabile relativa ai bilanci d’esercizio, ai bilanci consolidati e alle relative relazioni di talune tipologie di imprese, recante modifica della direttiva 2006/43/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e abrogazione delle direttive 78/660/CEE e 83/349/CEE del Consiglio. Poi interviene la Direttiva Europea 2014/95/UE – che obbliga gli Enti di interesse pubblico a documentare le proprie performance ambientali e sociali.

Tutto ciò è stato puntualmente recepito in Italia con il Decreto Legislativo 254/2016 il quale a sua volta impone a tutte le imprese con un numero di dipendenti superiore a 500 e un totale dello stato patrimoniale superiore a 20 milioni di euro o ricavi di almeno 40 milioni di euro, la redazione, certificazione e pubblicazione della cd. “dichiarazione non finanziaria”.

Il bilancio sociale si è così tanto diffuso, anche in Italia, che dal 1° gennaio 2020 il codice del Terzo settore prevede l’obbligatorietà del bilancio sociale per gli altri enti con ricavi, rendite, proventi o entrate comunque denominate superiori ad 1 milione di euro.

Nel frattempo a livello europeo si era aperta una nuova finestra tematica: la rendicontazione ambientale. Infatti, nella “Raccomandazione del Consiglio d’Europa” del 2004, la Comunità sosteneva la contabilità ambientale come una nuova forma di CSR.

Ma come fare a raccordare due forme di rendicontazione così diverse come quella sociale e quella ambientale che in comune hanno solo il principio generale della CSR?

Ci ha pensato GRI o Global Reporting Initiative (GRI), una organizzazione con sede ad Amsterdam, nata per stabilire standard di comune applicazione per misurare e rendicontare gli impatti sulle tre diverse dimensioni della sostenibilità: quella economica, ambientale e sociale.

 

Il framework fornito da GRI rappresenta un passo fondamentale, riconosciuto a livello internazionale e la cui corretta applicazione, su base legale o volontaria, viene sottoposta ad apposita opinion di una società di revisione e certificazione.

Nello specifico, gli Standard GRI, applicabili in tutto o in parte a seconda delle specificità aziendali, sono costituiti da:

  • 3 standard di carattere generale (Universal Standard) applicabili a tutte le organizzazioni
  • 35 standard specifici dedicati alle tre aree della sostenibilità: Economica, Sociale e Ambientale.

 

Arriviamo all’estate del 2022 e nasce la nuova Direttiva “Corporate Sustainability Reporting Directive – CSRD” emendando il testo della Direttiva n. 34/2013, la c.d. Direttiva contabile, nonché alcuni altri atti normativi europei (Direttiva e Regolamento sull’audit, la “Transparency Directive”).

La nuova Direttiva denomina definitivamente questa forma di rendicontazione “reporting di sostenibilità” e non più “reporting non finanziario”. Scompare addirittura l’espressione «informazione non finanziaria».

Questa Direttiva ha quindi provveduto all’attuazione di veri propri standard europei dei reporting di sostenibilità su tutte le tematiche Enverinonmental, Social, Governance; da qui il tanto diffuso e attuale acronimo “ESG”.

Non poteva certo mancare una prospettiva multi-stakeholder, una prospettiva di settore (sector specific) e una prospettiva di natura generale (cd. sector agnostic) e inoltre l’informativa sostenibile ESG si rivolge ora a tutte le possibili tipologie di imprese, sino a comprendere società non quotate e PMI (su base volontaria).

Altri aspetti innovativi che caratterizzano l’intervento del legislatore europeo sono, l’introduzione del criterio di proporzionalità aprendo quindi ad un trattamento differenziato o meglio dire semplificato, dell’informativa per le PMI.

Ma la vera innovazione dei principi ESG è senz’altro la caratterista di portare gli amministratori a rendicontare obiettivi e azioni in prospettiva forward-looking del report di sostenibilità. Il bilancio di sostenibilità acquista una doppia funzione: da una parte espone i risultati raggiunti e dall’altra diventa un vero e proprio strumento di programmazione della sostenibilità.

La tassonomia (ndr. la codifica tecnica delle attività ecosostenibili in ogni settore) e lo standard dei contenuti della rendicontazione viene statuito dai General sustainability reporting principles che prevedono a loro volta tre serie di ESRS: la prima sui temi ambientali (da E1-E5), la seconda sui temi sociali (da S1-S4) e la terza sui temi della governance (ESRS G1 e G2).

In ogni caso i nuovi bilanci di sostenibilità dovranno fornire almeno i 3 specifici indicatori: quota di fatturato da attività previste dalla tassonomia, la relativa quota di Opex e di Capex.

A questo punto, se questa è la direzione in cui si devono muovere tutte le imprese europee, non può certo stupire la circostanza che la Corporate Sustainability Reporting Directive preveda una garanzia di affidabilità della rendicontazione imponendo la reasonable assurance dei report di sostenibilità, alla stessa stregua del bilancio d’esercizio.

Quali sono ora i prossimi step che la CE ha previsto?

Entro giugno 2024 la CE adotterà tutti gli altri standard ESRS (II serie) e i primi bilanci ESG usciranno nel 2025 con riferimento alla chiusura 31/12/2024.

di Matteo Paternoster (Senior Consultant)  

La prima domanda che ci viene posta quando si parla di Comunità energetiche da energie rinnovabili (CER), ovviamente, concerne i vantaggi conseguibili da questa particolare forma di aggregazione di cui ho parlato nella precedente recensione.

I benefici per chi aderisce ad una comunità energetica sono indiscutibilmente interessanti perchè derivano dal riconoscimento di una tariffa incentivante, della durata di 20 anni, per la remunerazione dell’energia prodotta.

A questo punto sorge spontaneo domandarsi come si origini il risparmio in bolletta dell’utente finale che aderisce ad una comunità energetica/gruppo di autoconsumo.

Ebbene, il beneficio economico è determinato dalla differenza tra i costi d’utenza standard per il consumo di energia elettrica e la somma del prezzo d’acquisto dell’energia elettrica prodotta dall’impianto e dell’incentivo sull’energia condivisa.

In ragione del fatto che l’energia generata dall’impianto a fonte rinnovabile debba essere immessa nella rete pubblica prima di essere condivisa all’interno della comunità o del gruppo di autoconsumo, si verificherà una cessione tramite il ritiro dedicato del GSE oppure tramite la vendita sul libero mercato (il legislatore specifica che il regime incentivante è alternativo allo scambio sul posto art. 42 bis co. 6 D.L. 162/2019).

Mentre, alla porzione di energia condivisa viene riconosciuto un incentivo suddiviso in due componenti:

  • La tariffa incentivante MISE, fissa per 20 anni, pari a 100€/MWh per l’autoconsumo collettivo e 110€/MWh con riferimento alle comunità energetiche;
  • Il rimborso per minori costi di sistema in ragione della condivisione di energia, che ammonta a 9€/MWh (secondo quanto stabilito dall’Autorità).

Dunque, su tutta l’energia immessa viene corrisposto alla comunità energetica il prezzo di vendita (o ritiro dedicato o vendita sul mercato) e successivamente solamente sull’energia immessa e condivisa si applica il regime incentivato.

Sulla base dell’attuale sistema di regolazione in materia di e.e., meglio non si poteva fare e ad ogni modo, l’attuale fase di tumultuoso ricorso a questa particolare forma di aggregazione indica che, in Italia, il neonato modello CER sta vivendo una notorietà sempre maggiore.

di Matteo Paternoster (Senior Consultant)  

In pochissimo tempo, il tema delle comunità energetiche da energie rinnovabili (CER) è balzato alla ribalta della popolarità tra operatori qualificati e consumers di energia elettrica trattandosi di una novità assoluta nello spettro dei modelli di aggregazione territoriale in campo energetico ma anche, ovviamente, in conseguenza della crisi energetica di questi tempi.

Si parla di comunità energetica quando diversi soggetti decidono di aggregarsi in una comunità che assume specifica titolarità giuridica, al fine di condividere l’energia prodotta da un impianto rinnovabile in loco.

Le comunità energetiche nascono quindi allo scopo di contrastare la povertà energetica, incoraggiare l’uso sostenibile dell’energia elettrica e favorire la transizione energetica, consentendo ad un gruppo di consumatori di associarsi nella produzione e nell’autoconsumo di energia elettrica derivante da fonti rinnovabili.

Le direttive europee del pacchetto legislativo CEP (Clean Energy Package), intendono fornire un quadro normativo adeguato, in grado di regolare tali comunità, così da incoraggiarne la diffusione.

Tra le principali direttive del pacchetto si annoverano:

  • La Direttiva UE 2018/2001 sulle energie rinnovabili (cd. RED-II);
  • La Direttiva UE 2019/944 sul mercato interno dell’energia elettrica e sulle comunità energetiche (cd. IEM).

Il legislatore italiano recepisce ambedue le direttive con due provvedimenti entrati in vigore nel dicembre 2021, perfezionando la precedente disciplina delle comunità energetiche, contenuta in via sperimentale nel Decreto Milleproroghe di febbraio 2020.

A cominciare dalla fine dello scorso anno, quindi, il panorama legislativo italiano accoglie due nuovi soggetti giuridici, ossia:

  • Comunità di Energia Rinnovabile (CER), associazioni costituite da insiemi di soggetti sia giuridici, sia persone fisiche (es. aziende e imprenditori) dislocati nei pressi di un impianto di energia a fonte rinnovabile, che su base volontaria si aggregano con lo scopo di condividere l’energia prodotta secondo i principi di autoconsumo e sufficienza energetica.
  • Autoconsumatori di energia rinnovabile che agiscono collettivamente e cioè due o più persone fisiche che sulla base di un accordo privato decidono di produrre energia elettrica da fonte rinnovabile per il proprio consumo e/o la vendita a ad altri clienti finali, purché non si tratti di attività commerciale o professionale principale.

di Matteo Paternoster (Senior Auditor)

 

Il 15 luglio è entrato in vigore il Decreto Legislativo 17 giugno 2022 n. 83, che contiene alcune modifiche al Codice della Crisi d’impresa e dell’Insolvenza (CCII) di cui al Decreto n. 1 del 12 a partire da gennaio 2019.

A seguito di quest’ultimo decreto correttivo, l’iter di entrata in vigore del CCII è giunto apparentemente al termine, dopo circa due anni di attesa rispetto alla scadenza originariamente prevista del 15 agosto 2020, di recente posticipata al 15 luglio 2022 ad opera dell’articolo 42 del Decreto–legge 30 aprile 2022 numero 36, convertito in Legge 29 giugno 2022 numero 79[1].

Vediamo ora come cambiano le regole.

La composizione negoziata

Per quanto riguarda la tempestività e la risoluzione delle crisi aziendali, il nuovo Codice individua nei meccanismi di risoluzione negoziale lo strumento principale per la risoluzione delle crisi d’impresa.

Viene, infatti, abolito il sistema di allerta previsto dal precedente art. 12 ed istituita al suo posto una procedura in cui l’imprenditore (sia esso commerciale od agricolo) può richiedere l’intervento di un soggetto esterno e qualificato (Esperto), accedendo alla piattaforma nazionale online di Unioncamere, e rapportandosi con la Camera di commercio del territorio ove ha sede l’impresa, quando si trova in condizioni di squilibrio patrimoniale, economico o finanziario che rendono probabile la crisi o l’insolvenza, pur risultando ragionevolmente perseguibile il risanamento dell’impresa.

Misure e Assetti per la rilevazione della crisi d'impresa

Il nuovo testo normativo prevede all’art. 3 l’adozione di misure ed assetti aziendali volti ad identificare e scongiurare l’emersione della crisi nella sua fase iniziale.

Il legislatore prevede per l’imprenditore individuale, di istituire misure idonee alla tempestiva rilevazione dello stato di crisi, nonché di assumere senza indugio le iniziative necessarie a farvi fronte. Mentre l’imprenditore collettivo deve adottare un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato (come da articolo 2086 del Codice civile), in modo da rilevare tempestivamente lo stato di crisi ed agire per porvi rimedio.

Al fine di prevedere tempestivamente la presenza della crisi d’impresa, le misure dell’imprenditore individuale e gli assetti dell’imprenditore collettivo devono consentire di:

-     rilevare eventuali squilibri di carattere patrimoniale, economico e/o finanziario;

-    verificare la sostenibilità dei debiti e le prospettive di continuità aziendale almeno per i dodici mesi successivi e rilevare i segnali di per la previsione di crisi;

-    ricavare le informazioni necessarie ad utilizzare la lista di controllo particolareggiata e ad effettuare il test pratico per la verifica della ragionevole perseguibilità del risanamento.

Secondo il CCII, rappresentano “segnali” per la previsione sulla sopravvivenza dell’impresa:

  1. L’esistenza di debiti per retribuzioni, scaduti da almeno trenta giorni pari ad oltre la metà dell’ammontare complessivo mensile delle retribuzioni;
  2. L’esistenza di debiti verso fornitori scaduti da almeno novanta giorni, di ammontare superiore quello dei debiti non scaduti;
  3. L’esistenza di esposizioni verso banche ed altri intermediari finanziari, scadute da più di sessanta
    giorni 
    o che oltrepassino da un periodo di almeno sessanta giorni il limite degli affidamenti ottenuti, di ammontare rappresentavo di almeno il 5% del totale delle esposizioni;
  4. d) L’esistenza di una o più esposizioni debitorie, segnalate dai cd. Creditori pubblici qualificati (INPS, INAIL, AE), previste dall’articolo 25-novies, comma 1.

 

Le segnalazioni

Il Capo III del CCII si occupa di definire le segnalazioni per la anticipata emersione della crisi e di introdurre il programma informatico di verifica della sostenibilità del debito, nonché per l’elaborazione dei piani di rateizzazione.

Il nuovo dovere di segnalazione contenuto nell’art. 25-octies si applica a tutti i collegi sindacali, al sindaco unico laddove nominato (nelle Srl o cooperative a responsabilità limitata), nonché al Comitato di controllo o collegio di sorveglianza delle S.p.A. che abbiano optato per il sistema monistico. Ma non opera rispetto alle Srl con solo revisore. Nella sua attuale versione, infatti, il Codice non estende in capo al revisore legale gli obblighi di segnalazione all’organo di amministrazione circa la ricorrenza dei presupposti per la presentazione dell'istanza di Composizione della crisi.

L’organo di controllo, di contro, deve segnalare per iscritto all'organo amministrativo la sussistenza dei presupposti per la presentazione dell'istanza di accesso alla Composizione negoziata (nomina dell’Esperto di cui all’art. 17), ossia deve comunicare le ragioni per cui si ritiene che l’impresa versi in uno stato di crisi. L’Amministrazione, allora, deve attivarsi entro trenta giorni dalla ricezione della segnalazione per individuare un percorso idoneo alla soluzione della crisi, riferendo le prospettive aziendali d’innanzi al collegio sindacale o al sindaco unico.

La Cassazione precisa, in merito alle segnalazioni da parte dell’Organo di controllo che, l’uso dell'indicativo nel testo normativo - deve segnalare - è sintomatico di un vero e proprio obbligo in capo ai sindaci, ora più di prima, chiamati a rilevare tempestivamente la presenza dei presupposti di crisi. Si tratta di un dovere che, tra l’altro, si aggiunge e rafforza quell’obbligo di vigilanza attiva sulla costituzione da parte dell’imprenditore di adeguati assetti aziendali che pure il Codice della crisi impone.

Inoltre, si tiene a precisare che la segnalazione, seppure effettuata dall’Organo di controllo in un dato momento, potrebbe non essere ritenuta tempestiva e quindi non assolvere all’obbligo con i conseguenti effetti di deresponsabilizzazione dei sindaci stessi. Già afferma, infatti, la Cassazione che «si dovrà ritenere che una segnalazione tardiva — fatta dai sindaci in un momento in cui il capitale o il presupposto della continuità aziendale è già stato perduto, non sia in grado di assolvere completamente i sindaci dalle responsabilità legate alla mancata tempestività.

Di più, sono previsti in capo ai creditori istituzionali, come INPS, INAIL, Agenzia delle Entrare e delle Riscossioni, obblighi di segnalazione all’imprenditore e all’Organo di controllo della presenza di eventuali insoluti rilevanti a carico della società.

Infine, in base al nuovo art. 25 decies, le banche e gli altri intermediari finanziari quando comunicano al cliente variazioni, revisioni o revoche degli affidamenti rilevanti, devono darne notizia anche gli Organi di controllo societari. Una disposizione che sembra introdurre un vero e proprio obbligo di segnalazione attiva in capo agli enti bancari e finanziari, i quali in caso di inerzia dinnanzi alle variazioni di cui sopra potrebbero essere coinvolti e responsabilizzati in un futuro processo fallimentare e che, oltretutto, attribuisce ai sindaci il ruolo di ricettore di altre notizie qualificate provenienti dal mondo bancario e creditizio, estendendo di fatto l’onere dei controlli.

 

Estratto di alcuni Articoli rilevanti del Nuovo Codice (Decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14)

Obblighi dei soggetti che partecipano alla regolazione della crisi o dell'insolvenza

Art. 3

Adeguatezza delle misure e degli assetti in funzione della rilevazione tempestiva della crisi d'impresa.

  1. L'imprenditore individuale deve adottare misure idonee a rilevare tempestivamente lo stato di crisi e assumere senza indugio le iniziative necessarie a farvi fronte.
  2. L’imprenditore collettivo deve istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato ai sensi dell'articolo 2086 del Codice civile, ai fini della tempestiva rilevazione dello stato di crisi e dell'assunzione di idonee iniziative.
  3. Al fine di prevedere tempestivamente l’emersione della crisi d'impresa, le misure di cui al comma 1 e gli assetti di cui al comma 2 devono consentire di:
  4. rilevare eventuali squilibri di carattere patrimoniale o economico-finanziario, rapportati alle specifiche caratteristiche dell'impresa e dell'attività imprenditoriale svolta dal debitore;
  5. verificare la sostenibilità dei debiti e le prospettive di continuità aziendale almeno per i dodici mesi successivi e rilevare i segnali di cui al comma 4;
  6. ricavare le informazioni necessarie a utilizzare la lista di controllo particolareggiata e a effettuare il test pratico per la verifica della ragionevole perseguibilità del risanamento di cui all'articolo 13, al comma 2.
  7. Costituiscono segnali per la previsione di cui al comma 3 (previsione tempestiva della crisi):
  8. l'esistenza di debiti per retribuzioni scaduti da almeno trenta giorni pari a oltre la metà dell'ammontare complessivo mensile delle retribuzioni;
  9. l'esistenza di debiti verso fornitori scaduti da almeno novanta giorni di ammontare superiore a quello dei debiti non scaduti;
  10. l'esistenza di esposizioni nei confronti delle banche e degli altri intermediari finanziari che siano scadute da più di sessanta giorni o che abbiano superato da almeno sessanta giorni il limite degli affidamenti ottenuti in qualunque forma purché rappresentino complessivamente almeno il cinque per cento del totale delle esposizioni;
  11. l'esistenza di una o più delle esposizioni debitorie previste dall'articolo 25-novies, comma 1. (Segnalazioni dei creditori pubblici qualificati: INPS, INAIL, AE; A. Riscossioni).

Composizione negoziata della crisi

Art. 13

Istituzione della piattaforma telematica nazionale e nomina dell'esperto.

  1. È istituita una piattaforma telematica nazionale accessibile agli imprenditori iscritti nel registro delle imprese attraverso il sito istituzionale di ciascuna camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura. La piattaforma è gestita dal sistema delle camere di commercio, per il tramite di Unioncamere, sotto la vigilanza del Ministero della giustizia e del Ministero dello sviluppo economico.

 

  1. Sulla piattaforma sono disponibili una lista di controllo particolareggiata, adeguata anche alle esigenze delle micro, piccole e medie imprese, che contiene indicazioni operative per la redazione del piano di risanamento, un test pratico per la verifica della ragionevole perseguibilità del risanamento e un protocollo di conduzione della composizione negoziata accessibili da parte dell'imprenditore e dei professionisti dallo stesso incaricati. La struttura della piattaforma, il contenuto della lista di controllo particolareggiata, le modalità di esecuzione del test pratico e il contenuto del protocollo sono definiti dal decreto dirigenziale del Ministero della giustizia adottato ai sensi dell'articolo 3 del decreto-legge 24 agosto 2021, n. 118, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 ottobre 2021, n. 147.

(...)

Art. 17

Accesso alla composizione negoziata e suo funzionamento

  1. L'istanza di nomina dell'esperto indipendente è presentata tramite la piattaforma telematica di cui all'articolo 13 mediante la compilazione di un modello, ivi disponibile, contenente le informazioni utili ai fini della nomina e dello svolgimento dell'incarico da parte dell'esperto nominato.

Segnalazioni per la anticipata emersione della crisi

Art. 25-octies

Segnalazione dell'organo di controllo

  1. L'organo di controllo societario segnala, per iscritto, all'organo amministrativo la sussistenza dei presupposti per la presentazione dell'istanza di cui all'articolo 17. La segnalazione è motivata, è trasmessa con mezzi che assicurano la prova dell'avvenuta ricezione e contiene la fissazione di un congruo termine, non superiore a trenta giorni, entro il quale l'organo amministrativo deve riferire in ordine alle iniziative intraprese. In pendenza delle trattative, rimane fermo il dovere di vigilanza di cui all'articolo 2403 del codice civile.
  2. La tempestiva segnalazione all'organo amministrativo ai sensi del comma 1 e la vigilanza sull'andamento delle trattative sono valutate ai fini della responsabilità prevista dall'articolo 2407 del Codice Civile.

Art. 25-novies

Segnalazioni dei creditori pubblici qualificati

L'Istituto nazionale della previdenza sociale, l'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, l'Agenzia delle entrate e l'Agenzia delle entrate-Riscossione

segnalano all'imprenditore e, ove esistente, all'organo di controllo, nella persona del presidente del collegio sindacale in caso di organo collegiale, a mezzo di posta elettronica certificata - omissis - :

  1. a) il ritardo di oltre novanta giorni nel versamento di contributi previdenziali di ammontare superiore-

omissis –

  1. Per L’Agenzia delle Entrate, l'esistenza di un debito scaduto e non versato relativo all'imposta sul valore aggiunto - omissis –
  2. per l'Agenzia delle entrate-Riscossione, l'esistenza di crediti affidati per la riscossione, autodichiarati o definitivamente accertati e scaduti da oltre novanta giorni, superiori, per le imprese individuali,

all'importo di euro 100.000, per le societa' di persone, all'importo di euro 200.000 e, per le altre società, all'importo di euro 500.000. - omissis -

 

Art. 25-decies

Obblighi di comunicazione per banche e intermediari finanziari

  1. Le banche e gli altri intermediari finanziari di cui all'articolo 106 del testo unico bancario, nel momento in cui comunicano al cliente variazioni, revisioni o revoche degli affidamenti, ne danno notizia anche agli organi di controllo societari, se esistenti.

 

Art. 25-undecies

Istituzione di programma informatico di verifica della sostenibilità del debito e per l'elaborazione di piani di rateizzazione automatici

  1. Sulla piattaforma di cui all'articolo 13 è disponibile un programma informatico gratuito che elabora i dati necessari per accertare la sostenibilità del debito esistente e che consente all'imprenditore di condurre il test pratico di cui all'articolo 13, comma 2, per la verifica della ragionevole perseguibilità del risanamento.

 

[1] Sul punto si veda anche “Codice Crisi d’Impresa, cosa cambia con il decreto correttivo: le novità” pubblicato da Paolo Ballanti su “Leggi Oggi” il 25/07/2022

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